Οι άγνωστες διπλωματικές σχέσεις του Αλή Πασά και του Φερδινάνδου της Νάπολης/ Alì pascià di Giannina e re Ferdinando di Napoli

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O πανεπιστημιακός  Γιάννης Κορίνθιος για άλλη μια φορά, μέσα από τις ψηφιακές στήλες των 24γραμμάτων, παρουσιάζει άγνωστες σελίδες της ελληνικής ιστορίας. Μετά την πολυσυζητημένη παρουσίαση των κακουχιών των Ελλήνων της Ιταλίας κατά τη διάρκεια του ελληνοϊταλικού πολέμου, καθώς και την  άγνωστη ιστορία των Μακεδόνων στρατιωτών στο στρατό των Βουρβώνων , παρουσιάζει τώρα άγνωστες λεπτομέρειες και ανέκδοτα γεγονότα από τις διπλωματικές σχέσεις του Αλή Πασά (1744-1822) με το Βασιλιά Φερδινάνδο της Νάπολης, Ferdinando I di Borbone (1751 – 1825) . Από τις μαρτυρίες και τα ιστορικά ντοκουμέντα ο Αλή Πασάς παρουσιάζεται ως ένας πανέξυπνος διπλωμάτης, που προσπαθεί να βρει υποστήριξη από τη Δύση. Εγείρονται, επίσης, σοβαρά ερωτηματικά για τον τρόπο που σκοτώθηκε ο Αλή Πασάς (Σωτ. Αθηναίος)
κείμενο στην Ιταλική γλώσσα

Jannis Korinthios
Alì pascià di Giannina e re Ferdinando di Napoli.
Inedito dispaccio diplomatico sulla sua morte.

Durante l’espansione turca nei Balcani, il libero comprensorio in Epiro di Chimarra, che comprendeva un gran numero di frazioni, è stato al centro di numerose sommosse rivoluzionarie (1481, 1488, 1494-1509, 1537, 1571, 1595, 1690, 1713) con il coinvolgimento dei greci di Napoli. Chimarra riuscì a mantenere a lungo la propria indipendenza amministrativa; solo Alì pascià di Giannina riuscì ad occupare Chimarra nel 1797.
Alì pascià di Giannina spesso raccomandava al re Ferdinando delle Due Sicilie i suoi sudditi1; il 20 marzo 1800, scrisse a Ferdinando per invocare un più particolare riguardo verso il commerciante epirota Giovanni Christodulo; il 25 febbraio 1803 raccomandava altresì prima a Ferdinando e poi al principe Giovanni Acton un suddito che egli aveva provveduto a inviare personalmente a Napoli per studiare medicina:
Maestà Serenissima, sapendo che tra le scienze che fioriscono in cotesta dominante dei regni felicissimi di Vosta Maestà, la medicina ha il primo onore, e desiderando che questi miei sudditi profittino d’un bene tanto essenziale all’individuale salute, spedisco Evangelo Mexicò, albanese, per istituirsi nella medesima, pregando la Maestà vostra a volerlo degnare della Real protezione, acciò possa godere dei vantaggi e facilitazioni che all’acquisto di detta scienza conducono.
Al principe Acton, Alì pascià scriveva nella stessa data:
Eccellenza, essendo certissimo che V. E. conosce il vantaggio che risulta dalla civilizzazione dei Popoli Alleati e specialmente vicini, mi faccio credere che le premure a favore di Evangelo Mexicò, Albanese, troveranno in V. E. tutta la disposizione per ottenere al medesimo l’onore della Sovrana Protezione, che giudica necessaria all’acquisto della Scienza, per cui da me costà si spedisce. Fidando dunque più ne’sentimenti savissimi di V. E. che nelle mie raccomandazioni, rimetto ai medesimi la cura di favorire il mio cliente, soggiungendo solo, che sarò soddisfatissimo se potrò conoscermi debitore di V. E., del favore a cui egli aspira l’onore, ed io istantemente prego che gli sia concesso.
Le raccomandazioni di Alì pascià ottenevano sempre una favorevole accoglienza a Napoli.
Nell’Archivio di Stato di Napoli si conservano molti documenti e suppliche di questo Evangelo Mexico2; egli chiedeva al re Ferdinando il permesso di cambiare Collegio per incompatibilità con il direttore dell’Ospedale e allegava varie lettere in suo favore, tra cui alcune dei bibliotecari della Biblioteca Reale, altre di docenti di medicina e altre ancora dei preti della chiesa greca di Napoli.
In effetti, i preti Giovanni Galli (cappellano della chiesa greca dei SS. Pietro e Paolo) e Giovanni Spiro Cuzzi (cappellano de’Volontari Cacciatori Albanesi) confermavano in una lettera del 18 luglio 1804 che Mexicò di nazione Greca durante questo tempo con tutto impegno ha assistito alla professione di Medicina, ha assistito alla nostra chiesa con divozione ed è stato di buoni costumi3.
Ugualmente Visir Alì Pascià di Giannina4 scrisse, il 29 ottobre 1803, una lettera al cavalier capitan generale Don Giovanni Acton per raccomandare l’ufficiale albanese Stefano Dulli5 che militava sotto l’insegne gloriose di Sua Maestà Serenissima il Re delle Due Sicilie e per confermare la sua affettuosa amicizia6.
Alì pascià di Giannina, per esprimere la propria riconoscenza per la benevolenza, condiscendenza e accoglienza generosa di Ferdinando verso i numerosi ufficiali e soldati albanesi che militavano nei faustissimi dominj, aveva consegnato a Dulli anche una lettera personale per il re, in cui ribadiva il suo attaccamento, ossequio e rispetto obligatissimo alla Maestà Serenissima.
Ferdinando IV rientrava a Napoli il 9 giugno 1815 e il 7 luglio il Visir Alì pascià di Giannina inviava una lettera per esprimere le sue congratulazioni per il felice ritorno:
Sire, la lieta notizia, che mi pervenne riguardo al ritorno di Vostra Real Maestà in Napoli, mi ha colmato d’infinito piacere, per ciò prim’anco di sentirla ritornata, non manco d’inviare appositamente il nostro Maggior Dulli, antico servitore ancor della Maestà Vostra. Egli Dulli è incombenzato di sottomettere ai piedi di Vostra Maestà le mie congratulazioni, di richiamare nella Sovrana Sua memoria il mio zelo e vero attaccamento e di aver l’onore in oltre a communicarle un affare. Viene umilmente pregata la Maestà Vostra di benignamente ricevre i miei omaggi e condiscendere a prestar ad esso ascolto.
Il pascià di Giannina aveva consegnato una lettera al maggiore albanese Stefano Dulli per farla recapitare personalmente al re Ferdinando, insieme ad una richiesta di fornitura di 500 cantaja di zolfo e nitro, pagando direttamente la fornitura oppure offrendo in cambio pece dura e legname di costruzione di cui la provincia di Chimarra abbondava per i bisogni della Real Marina; ma nella stessa lettera il pascià prometteva altresì, sempre in cambio della fornitura di nitro e zolfo, di fornire gli uomini necessari alla formazione di uno o due battaglioni di albanesi. Ferdinando IV fece sapere, tramite il ministro degli Esteri marchese di Circello, che avrebbe gradito solo la reclutazione degli uomini per servire da sotto-uffiziali e soldati, mentre per gli Uffiziali l’offerta porterebbe un grave pregiudizio al Real Tesoro, trovandosi attualmente un numero eccedente di Uffiziali Nazionali, che attendono destinazione e che sono a carico dello Stato7.
Ferdinando incaricava allora il generale inglese Riccardo Church a riorganizzare nuovamente il reggimento Real Macedone con il nome di Cacciatori Macedoni; il nuovo reparto dei camiciotti rimase attivo sino al 6 luglio 1820, quando fu nuovamente sciolto e i soldati esonerati vennero ancora rimpatriati.
Nel 1822 veniva intanto giustiziato Alì Pascià di Giannina che si era ribellato alla Sublime Porta8.
Nell’Archivio di Stato di Napoli si conserva una relazione anonima, inviata da Corfù a Napoli9, che narra le ultime ore drammatiche del pascià di Giannina.
Mio Caro
La tragedia del celebre tiranno dell’Epiro è finalmente compita. La sua fine poteva essere più gloriosa come egli già il meditava, ma la giustizia divina ha voluto che l’uomo che è vissuto sempre con astuzia e con inganno, che migliaja di volte ha violati i giuramenti per far cadere altrui nelle insidie perisse ei pure d’inganno, lasciandosi ingannare da promesse e giuramenti fallaci.
La sua morte non lascia però di essere sommamente nociva alla causa dei Greci per cui questi malgrado le tante e lunghe ingiurie passate ne sentirono e ne sentono assai dolore e la sua caduta non sarebbe mai avvenuta se non fosse stato indegnamente abbandonato dai suoi nel momento che la sua liberazione era sicura e vicina.
Vi ò già in altra mia informato della brillante presa di Arta fatta dai Greci unitamente ai Toschidi partigiani di Aly. Il resto dei Turchi coi quattro pascià erano rinchiusi nel Castello ed in alcune case immediatamente sotto il medesimo e la loro resa era imminente perchè mancanti di viveri. Ma Omer Pascià (Albanese), recentemente venuto da Atene che aveva abbandonato, ebbe l’abilità di far vacillare la fede degl’Albanesi di qualunque credenza fossero stati dichiarati partecipi come gli altri Greci di ogni Diritto e prerogativa Nazionale. Omer avuti varj colloqui con essi li persuase che i Greci dopo accomodate le cose loro avrebbero rovesciato Alj, avrebbero malmenata l’Albania mettendola a ferro e fuoco fino a che l’ultimo Maomettano fosse estinto appropriandosene i beni, disonorando le donne ed i figli e forse esterminandoli, e che era quindi tempo che aprissero gli occhi, e che prevenissero il male avanti che questo fosse irreparabile che altrimenti sarebbero colpevoli della distruzione dell’Islamismo senza guadagnare nulla per essi stessi. Ciò gli ha vinti. Quindi una notte abbandonarono improvvisamente i loro collegati Greci ritirandosi dall’Arta verso Jannina presso gli altri Turchi. Il peggio si era che in mano loro era il passo importantissimo dei cinque Darri per cui restava libero ai Turchi il passaggio verso l’Arta.
I Greci vedendo allora che la situazione loro in Arta poteva divenire critica tanto più che appresero che un Corpo turco di 3500 uomini si era avanzato dalla parte di mare e già dirigevasi sopra ad Arta si videro obbligati di ritirarsi in fretta verso le loro montagne temendo di essere presi in mezzo alla sprovvista da forze molto maggiori. Lo stato quindi delle cose si trovò in tutto diametralmente cambiato, dove prima erano in sì bello aspetto i Greci, lo erano ultimamente i Turchi. I Toschidi nell’abbandonare gli Alleati loro e nel fare la propria sommissione al comandante imperiale avevano già proposta per prima condizione il perdono e libertà di Aly Pascià. Ma a questo dall’Imperiali non si è poi atteso. I Sulliotti e gli Acarnanj sono stati obbligati dall’inattesa defezione dei loro collegati i quali passavano nel numero dei nemici, e dalla mancanza di munizioni di aderire alle proposizioni di armistizio che erano state fatte dagl’avversari; e l’una parte e l’altra voleva guadagnare tempo, ma intanto tutte le mire di Chorscid Pascià furono rivolte alla riduzione del povero Aly, e perché non gli era possibile a viva forza, mise in opra ogni maneggio. Tair Abari che era il tanto fedele partigiano di Aly e che si era alla fine lasciato sedurre da Omer Pascià, entrò più volte nella Fortezza a parlare con Aly, e forse ad aprire con esso delle trattative per parte di Chorscid. Ma l’esempio della sua defezione fece perdere la costanza alla guarnigione, la quale già stanca specialmente per un terribile scorbuto che l’aveva attaccata, aprì una mattina le porte e sortì abbandonando la fortezza alla discrezione degl’Imperiali. Il povero Aly si ritirò allora nella cittadella interna con 140 Greci ed Albanesi che gli erano rimasti fedeli. Egli ed essi erano decisi di difendersi fino agl’Estremi, ed all’ultimo egli era deciso di saltare in aria tenendo nelle sue stanze un fidatissimo Albanese con la miccia accesa sopra la bocca della tremenda mina che avrebbe rovesciato tutto a grande distanza. I turchi sapendo tale risoluzione non osavano mai d’attaccarlo ed avrebbe resistito alcuni mesi fino a che fosse piaciuto a Dio di fare giungere soccorsi. Tair-Abari e gli altro Toschidi allora incominciarono ad accorgersi dell’errore commesso ed a pentirsene, ma non sono stati più in tempo di ripararlo, benchè si pretende che tramassero qualche grande ed ardito tentativo. Intanto Chorscid-pascià trattava ogni giorno per mezzo dei suoi primarj uffiziali con Aly facendo vedere l’interesse preso da tutti i Pascià onde ottenere per lui la grazia dal Sultano. Gli assicuravano d’interessare tutti e di scrivere in Costantinopoli, al quale oggetto furono mandati dei corrieri. Aly che conosceva la sua critica situazione fece venire il Selictar di Chorscid-pascià (uffiziale primario e suo intimissimo) fece fare il catalogo dei suoi tesori gli fece imballare e poi si disse che dovessero scrivere in Costantinopoli perchè venisse i Hatti-Humagan Imperiale di grazia (Atto Sacro ed Inviolabile) esponendo i lunghi molteplici servigi resi all’Impero per cui nella sua vecchia età meritava di ottenere il perdono di un fallo commesso, che egli non domandava altro che di poter terminare ritirato in qualche luogo i pochi giorni che gli restavano ancora. Che tutti quei tesori restavano poi al Sovrano, ma che se il Hatti non veniva, Egli, i Tesori, le immense sue munizioni ed i depositi di armi con la cittadella, la fortezza e gran parte della città sarebbero saltati in aria al che era fermamente risoluto, facendogli vedere il suo fedele che stava con la miccia, come ò detto sempre pronta vicino a lui. Dopo pochi giorni cioè alli 30 Gennajo, gli portarono la nuova che l’Imperatore aveva accordata la Grazia richiesta, ma che siccome bisognava della delicatezza e dei riguardi verso la dignità dell’Imperatore specialmente al cospetto di un esercito era necessario che avanti che il Hatti fosse spedito e pubblicato gli mostrasse la sua piena sommissione che quindi occorreva che egli passasse con le poche persone della sua corte nell’Isola del lago(veramente Acherusio) continuando però a lasciare i usoi 140 guardiani nella cittadella col suo fido sulla mina. Per persuaderlo i Pascià gli fecero giuramento della grazia accordata e gli diedero anche scritto il loro giuramento. Qui la vecchia volpe fu presa. Egli pure si arrese alle insinuazioni ed insistenze loro e passò nell’Isola che egli con l’inaudite sue crudeltà aveva altre volte resa l’isola del Pianto.. La mattina delli 5 Febbrajo S. A. il Visir Mahemet Pascià si recò da lui recandogli la lieta novella che il Hatti era arrivato, ma che non poteva essere letto e pubblicato se prima tutta la cittadella non fosse in mano delle forze imperiali e l’Albanese della mina ritirato dal tremendo suo incarico. Egli allora si accorse dell’inganno e del tradimento e con ogni scusa cercava di evitarlo dicendo che all’Albanese aveva dato ordine di non ritirarsi se egli in persona non fosse andato ad ordinarglielo, disse quindi che fosse ricondotto nella cittadella per fare che l’Albanese si ritirasse, sicuro (come fingeva) che la grazia Imperiale gli sarebbe stata immediatamente comunicata, ma determinato per questa parte di dare esecuzione alla sua risoluzione che avrebbe resa magnanima la sua fine. L’uffiziale rispose che questo suo ritorno avrebbe portato sconcerto fra la gente ch’egli con ciò mostrava diffidenza nella clemenza e magnanimità Imperiale di cui non doveva più porre dubbio rinnuovandogliene i giuramenti che per fare veramente apparire che S. A. è stato libero nell’esercizio della sua clemenza doveva non mostrare più diffidenza e fare conoscere che la sua sommissione era completa con altri argomenti simili. Aly allora trasse dalla tasca una corona che era il segno convenuto col servo onde ritirarsi e la consegnò all’Uffiziale; questi portando quel segno ottenne l’intento e quindi i 140 vedendo la volontà di Aly di cedere non fecero più resistenza all’entrata dell’Imperiali nella cittadella. Dopo che se ne impadronirono intieramente, spedirono sull’isola il detto Albanese che tosto arrivato venne decapitato. Passarono quindi il suddetto Visir e credo anchel’altro Hassan-pascià col Selictar ed altri Officiali sull’isola stessa e si portarono nel monastero dove abitava Aly. Quando gli si presentarono il Visir trasse un firmano e gli disse se conosceva la firma per sacra dell’Imperatore. Avendola egli roconosciuta ed inchinata, il Visir gli lesse il firmano che conteneva anzi che la Grazia la sua sentenza di morte. E’ obbligazione di coscienza presso i turchi che ogni fedele renda la vita quando il principe lo comanda. Il Visir quindi invitò Aly a fare le sue preghiere e l’abluzione compiuta fra i Mussulmani in tali contingenze ed a rendere il capo. Aly rispose fieramente che non cede il suo capo e pone mano alle armi. Si dice che egli abbia ferito il visir stesso. Il Selictar di Churscid-pascià che stava dietro il Visir tirò un colpo di pistola nel petto e lo rovesciò a terra. Un certo Saliz schiavo amorosissimo di lui si getta sul copro del suo padrone e strettamente lo abbraccia per ripararlo da ogni altro colpo ulteriore. Il Selicatr replica un altro sparo col qule uccide lo schiavo e compie di uccidere Aly-pascià stesso. L’altra sua gente si avventò allora disperata sull’Imperiali uccidendone cinque eccettuatone il Visir che rimase leggermente ferito ed il Selictar a cui una palla sfiorì appena una coscia. Di essi oltre Aly e il suo schiavo restarono morti altri cinque dei quali quattro cristiani. Ad Aly fu quindi dal carnefice reciso il capo, lavata e pettinata la barba, e quindi posto sopra un bacino d’argento fu questo collocato sopra la porta della fortezza, esposto alla vista di tutti credo per tutto il giorno, dopo di che la testa famosa fu spedita a Costantinopoli. Così finì quest’uomo per tanto tempo il  terrore delle nsotre contrade, ed il quale era dotato dalla natura di prerogative così eminenti. Il soggetto meritava che io scendessi in tanti minuti ragguagli. Addio.

1. Vedi Archivio di Stato di Napoli (d’ora in poi ASN), Affari Esteri, 4337.
2. Si firmava in greco Eυαγγελο” Μεξικο”.
3. ASN, Affari Esteri, 4337.
4. Alì pascià manteneva stretti rapporti con la corte di Napoli da tempo.
5. Il maggiore Stefano Dulli e il tenente Cristoforo Duca, in servizio nel battaglione cacciatori albanesi, erano latori di due lettere del Visir Alì Bascià, la prima diretta al re e la seconda ad Acton.
6. ASN., fondo Affari Esteri, 4337.
7. ASN., fondo Affari Esteri, 4337, minuta di una lettera al pascià di Jannina.
8. ΑSN, Manoscritti Biblioteca, 112/2.
9. In quel periodo Giorgio Balsamo era console del regno a Corfù.