Metafisica di Aristotele

Αριστοτέλης, Μεταφυσικά

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Introduzione alla filosofia – di Ernesto Riva
Aristotele inizia la sua carriera di filosofo criticando la teoria delle idee di Platone. Naturalmente tale dottrina era discussa a fondo dal maestro e tra i discepoli, perς Aristotele si distingue subito per averne affermata radicalmente l’inutilitΰ. La teoria delle Idee, secondo Aristotele, complica inutilmente la spiegazione della realtΰ: le idee sono piω numerose degli individui (se diciamo ad esempio che l’uomo θ un animale razionale, troviamo in ogni individuo giΰ almeno tre Idee, quella di uomo, di animale, e di razionale). Se poi si dice che gli individui sono simili all’Idea, si deve riconoscere che questo singolo uomo e l’Idea (di Uomo in sι) non sono simili di per sι (infatti l’individuo non possiede certo l’universalitΰ dell’Idea, θ un uomo in particolare e non l’Uomo in sι); devono allora essere simili in virtω di un terzo uomo che, sia simile da un lato all’Idea e dall’altro all’individuo; ma per poter far ciς, il terzo uomo ne esige un quarto, e questo un quinto e cosμ via all’infinito. Insomma, il solco tra le Idee e gli individui si rivela incolmabile. Per sanare il radicale dualismo platonico bisogna dichiarare che reali sono proprio gli individui (ecco la trovata di Aristotele!): θ nelle cose visibili che va cercata la causa stessa della realtΰ, degli individui, del loro divenire. Con l’abbandono del platonismo, Aristotele si dedica ad una sistematizzazione del sapere talmente profonda che egli sarΰ il culmine del pensiero greco antico. Non solo: le sue idee influenzeranno il mondo occidentale per molti secoli per cui non c’θ branca del sapere che non abbia risentito dell’impronta, diretta o indiretta di Aristotele.

Aristotele divide le scienze in tre gruppi: le scienze teoretiche (la filosofia prima o metafisica, la fisica e la matematica), le quali ricercano la conoscenza disinteressata della realtΰ e si occupano dell’essere necessario (Dio, mondo, numero), mentre le altre si occuperanno dell’essere possibile (ogni altra cosa che esiste); le scienze pratiche, che comprendono l’etica e la politica, le quali ricercano il sapere per raggiungere la perfezione morale e sono di guida alla condotta umana; e infine le scienze poietiche o produttive (le arti e le tecniche), che ricercano il sapere in vista del fare, per produrre i vari oggetti.

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Metafisica
La scienza piu alta θ per Aristotele la metafisica (che in realtΰ lui chiamava filosofia prima e, piω tardi, verrΰ anche detta ontologia, cioθ studio dell’essere), la quale viene da lui definita in quattro modi: essa θ la scienza che studia le cause e i principi primi, studia l’essere in quanto essere; studia la sostanza; studia Dio e la sostanza immobile. Dire che la metafisica studia l’essere in quanto essere significa che essa non ha per oggetto una realtΰ in particolare, bensμ la realtΰ in generale, cioθ gli aspetti fondamentali e comuni di tutta al realtΰ. In altri termini, la matematica studia l’essere come quantitΰ, la fisica studia l’essere come movimento, solo la metafisica studia l’essere in quanto tale, considerando le caratteristiche universali di ogni essere (ecco perchι θ chiamata “filosofia prima” mentre la altre scienze sono “filosofie seconde”), ed θ dunque il presupposto indispensabile di ogni ricerca.

Se la metafisica θ lo studio dell’essere, che cosa θ l’essere? Aristotele dice che l’essere ha molteplici aspetti e significati (noi diciamo ad esempio che l’uomo θ, la neve θ sui monti, Dio θ…). Esso viene perciς diviso da Aristotele in quattro gruppi principali: l’essere come categoria; l’essere come potenza e atto; l’essere come accidente; l’essere come vero (e il non essere come falso). Noi vedremo brevemente i primi tre aspetti.

Col termine “categorie” Aristotele intende le caratteristiche fondamentali che ogni essere possiede. Esse sono dieci: sostanza, qualitΰ, quantitΰ, relazione, agire, subire, dove (luogo), quando (tempo), avere e giacere. La prima di esse, la sostanza, θ la piω importante perchι θ il riferimento comune alle altre categorie che, in qualche modo, la presuppongono (la qualitΰ ecc. θ sempre riferita a qualcosa che esiste di giΰ: l’uomo, ovvero la sostanza, θ alto, uno, padre, cammina ecc.). Il che ci porta a concludere che, se l’essere si identifica con le sue categorie e le categorie si riferiscono alla sostanza, la domanda su “che cos’θ l’essere ?” si trasforma in “che cos’θ la sostanza?”.

La sostanza θ in primo luogo ogni individuo concreto (uomo, cavallo, albero, tavolo ecc.) a cui si riferiscono delle proprietΰ che lo caratterizzano. E’ quindi un sinolo, unione di due elementi che Aristotele chiama materia (hyle) e forma (eidos, morphι). La forma θ la “natura” propria di una cosa, θ ciς che la rende quella che θ e la distingue dalle altre; θ dunque la sua “essenza”, il suo significato fondamentale, il suo “essere dell’essere”. La materia θ invece ciς di cui una cosa θ fatta, ciς di cui θ composta (ad esempio un uomo θ fatto di carne ed ossa; una sfera θ fatta di bronzo ecc.), ed θ dunque un elemento passivo, che viene ‘strutturato’, dalla forma, nel senso che θ la forma che rende ad esempio l’uomo ‘animale razionale’, mentre la materia sarΰ il corpo dell’uomo. Entrambe perς, la materia e la forma, sono necessarie per fare una sostanza: non puς esistere un uomo senza il corpo (materia), nι l’anima (forma) senza il corpo.

Se la forma θ l’essenza necessaria, da essa si distinguono gli accidenti, i quali sono le varie qualitΰ che si possono avere o non avere senza per questo influire sulla sostanza stessa. Ad esempio Socrate non cessa di essere uomo mentre puς essere allegro, triste, sano, malato, ecc. Per cui mentre l’accidente cambia nel tempo, la sostanza rimane la stessa, identica, pur nel mutare delle varie qualitΰ.

Se la forma θ l’essenza necessaria, θ ciς per cui ogni essere θ necessariamente quello che θ, allora essa θ anche la risposta che possiamo dare circa il che cos’θ? di una cosa, in quanto definire un essere vuol dire chiarirne l’essenza (che cos’θ questo? θ un uomo; cos’θ un uomo? un animale razionale). Questo ci porta a fare un breve excursus in ambito logico per accennare al principio di non contraddizione (lo vedremo meglio piω avanti): esso sostiene che ogni essere ha una natura determinata che θ impossibile negare di esso e quindi, in questo senso, gli θ necessaria, non potendo essere diversa da quello che θ. E’ espresso da Aristotele nel modo seguente : “θ impossibile che la stessa cosa sia e insieme non sia”. Il che viene dimostrato da Aristotele per assurdo dicendo che, se una parola ha un significato, non θ possibile che A sia insieme B e non-B, cioθ ad esempio che ‘uomo’ sia insieme ‘animale razionale’ e ‘non animale razionale’. Ne riparleremo tra qualche pagina.
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Tornando alla sostanza, possiamo notare che praticamente ogni cosa θ una sostanza, in quanto di ogni cosa – da Dio al piω piccolo sasso – si puς sempre e comunque chiedere che cos’θ?. Ciς significa che tutti gli esseri, prima di qualunque altro valore, hanno questo che li accomuna: il fatto di essere delle sostanze. Il che implica che, per Aristotele, tutte le scienze, in quanto sono tutte rivolte alla ricerca e alla definizione delle sostanze, abbiano la stessa dignitΰ. Con questa idea Aristotele ha ulteriormente abbandonato il Platonismo, giacchι per Platone valeva la pena di indagare solo ciς che era ottimo e perfetto e le scienze della natura non erano in fondo delle ‘scienze’ ma solo delle opinioni probabili. Per Aristotele invece ogni scienza ha valore di per sι. Egli ha quindi giustificato il valore della ricerca scientifica nel suo senso piω ampio (ed ecco perchι si θ occupato di ogni ramo dello scibile) ed ha eliminato il pregiudizio platonico contro l’indagine della natura.

Aristotele afferma, come giΰ Platone, che la conoscenza nasce dalla meraviglia nei confronti della realtΰ e consiste nel chiedersi il perchι delle cose. Ma chiedersi perchι una cosa esista o perchι sia cosμ e non altrimenti, equivale a chiedersi qual θ la causa (= condizione, fondamento, ragione) della cosa stessa, e quindi vi potranno essere diversi tipi di cause. Aristotele elenca quattro cause: materiale, formale, efficiente, finale.

La causa materiale θ appunto la materia, ciς di cui una cosa θ fatta (il bronzo θ la cosa materiale della statua). La causa formale θ la forma o essenza della cosa (la ‘ragione’ θ la forma o essenza dell’uomo). la causa efficiente θ ciς che dΰ origine, inizio a qualcosa (il padre θ la causa efficiente del figlio). La causa finale θ il fine, lo scopo a cui una cosa tende (il diventare adulto θ la causa finale del bambino). La teoria delle cause θ legata al problema del mutamento o, meglio, del divenire. Che vi siano delle cose che mutano θ una esperienza quotidiana. Ma come poter definire il divenire il generale? Per Aristotele il divenire θ il passaggio da un tipo di essere ad un altro. In breve, l’unica realtΰ θ l’essere, ed il divenire θ soltanto uno dei modi dell’essere. Approfondendo la questione Aristotele elabora i concetti di essere in potenza e di essere in atto. La potenza (dynamis) θ in generale la possibilitΰ, da parte di qualcosa, di cambiare, assumere dunque una certa ‘forma’. L’atto (energheia) θ la realizzazione di quel cambiamento, θ la cosa esistente che si ottiene in seguito al cambiamento. Ad esempio un pulcino θ in potenza un gallo, come il gallo θ il pulcino in atto (l’atto viene anche chiamato entelecheia, cioθ realizzazione o perfezione attuata). L’atto θ per Aristotele superiore alla potenza poichι θ la causa, il senso, il fine di ciς che θ in potenza. Alla domanda se θ nato prima l’uovo o la gallina, Aristotele risponderebbe ‘la gallina’, proprio perchι la gallina θ la realizzazione compiuta di ciς che θ solo in potenza, che potrebbe avvenire ma non θ ancora, mentre solo ciς che θ in atto ci permette di conoscere quello che θ in potenza.

Non ci rimane che illustrare la metafisica come ‘studio di Dio’.
Sviluppando un argomento giΰ presente negli ultimi dialoghi platonici, Aristotele sostiene che la materia non puς avere in se stessa la causa del proprio movimento. Dunque tutto ciς che si muove, θ necessariamente messo in moto da qualcos’altro. Questo qualcos’altro, poi, se θ anch’esso in movimento, θ mosso da altro ancora (come la pietra θ mossa dal bastone, che θ mosso dalla mano, che θ mossa dall’uomo). Orbene, in questo processo di rimandi non si puς procedere all’infinito perchι altrimenti rimarrebbe inspiegato il movimento iniziale, dalla cui constatazione siamo partiti. Non potendo cosμ andare all’infinito, vi devono essere dei principi, ovvero dei motori immobili a cui fanno capo i vari movimenti e, a maggior ragione, vi deve essere un principio primo e immobile, un Primo Motore Immobile, a cui fa capo tutto il movimento. Per Aristotele questo Motore Immobile θ Dio stesso, a cui il filosofo attribuisce anche altre caratteristiche. Prima di tutto Dio deve essere un atto puro, cioθ un atto senza potenza, giacchι la potenza θ la possibilitΰ di cambiamento mentre Dio, se θ Motore Immobile, non puς essere sottoposto al mutamento. Inoltre Dio deve anche essere forma pura o sostanza incorporea perchι θ appunto privo di materia.

Alla domanda: come puς il Primo Motore muovere restando immobile? Aristotele dice che esso non muove come una causa efficiente, dando un impulso, ma muove come causa finale, cioθ come ‘un oggetto d’amore’. In altre parole, il Primo Motore muove come l’oggetto d’amore attrae l’amante, pur restando immobile. Dio θ la Perfezione che, come una calamita, attira e quindi muove il mondo. Di conseguenza, l’universo θ una sorta di sforzo della materia verso Dio e quindi, in pratica, un desiderio incessante di prendere ‘forma’, Non θ tanto Dio che dΰ forma al mondo, ma θ piuttosto il mondo che, aspirando a Dio, si auto-ordina (non si dimentichi che per i Greci l’universo non θ creato, non ha avuto origine, sussiste da sempre).

Un’altra caratteristica del Dio aristotelico θ che θ vivente. Ma di quale tipo di vita? Quella che per Aristotele θ la piω perfetta, quella che all’uomo θ possibile solo per breve tempo, e cioθ la vita del puro pensiero, della contemplazione (theoria). E che cosa contempla Dio? Non puς che contemplare la cosa piω perfetta e quindi… contempla se stesso: egli pensa se stesso, θ ‘pensiero di pensiero’. Si noti che Dio non θ perς unico. Per i Greci era ‘divino’ tutto ciς a cui si puς attribuire l’eternitΰ e l’incorruttibilitΰ, per cui sono divine molte cose, come le sostanze soprasensibili, l’anima razionale dell’uomo e anche i motori dei cieli. Aristotele pensava infatti che il cielo fosse in realtΰ costituito da moltissime (da 47 a 55) sfere celesti, ognuna delle quali veniva mossa da una intelligenza motrice, che era dunque divina, analoga al Primo Motore ma inferiore a lui, anzi inferiori le une alle altre, come sono gerarchicamente inferiori le sfere che, una dopo l’altra, sono tra le stelle fisse e la terra. E si ricordi, in ultimo, che il Dio di Aristotele non θ nι creatore e nι provvidenza. Esso non crea il mondo dal nulla (questa θ una concezione ebraico-cristiana) visto che il mondo θ eterno; non conosce e non ama il mondo giacchι l’amore θ visto come una imperfezione, in quanto θ la tendenza a ricercare ciς di cui abbiamo bisogno (ricordate Platone?) mentre, se Dio θ perfetto, non puς avere bisogno di nulla e quindi non puς amare. Il Dio di Aristotele θ insomma una statica perfezione che si bea eternamente di se stessa.(http://www.linguaggioglobale.com)

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